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La camera del fuoco


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Titolo Sguardo a Oriente

Autore Dacia Maraini

Collana La camera del fuoco

Dettagli pp. 240, Ft. 13,2 x 20

ISBN 9788860431752

Rassegna stampa

Sguardo a Oriente Reportage, ricordi, racconti di un continente affascinante

A cura di Michelangelo La Luna

SESTA EDIZIONE

€ 17,00
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L’immenso continente asiatico visto dagli occhi di una grande scrittrice attenta e sensibile alle bellezze naturali ma soprattutto alle sue condizioni umane e sociali.

Descrizione

Sguardo a Oriente è una raccolta di reportage, ricordi e racconti di Dacia Maraini su Afghanistan, Cina, Corea, Giappone, India, Iran, Palestina, Pakistan, Siria, Tibet, Turchia, Vietnam, Yemen… Sono testi in cui si sente il ritmo narrativo della grande scrittrice che, come la nonna Yoï, il padre Fosco e la madre Topazia, ama viaggiare e raccontare le vicende e i personaggi di posti lontani. Paesi come il “Caro Giappone” di cui ricorda il periodo di internamento a Nagoya dal 1943 al 1945, le vittime della bomba atomica, i morti per il "superlavoro", l’emancipazione femminile e il fascino del teatro Nō. Il libro parla anche di alcune nazioni che l’autrice ha visitato con Maria Callas, Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini: dalla Cina, pronta a fare “l’ultima pedalata verso il capitalismo”, allo Yemen, afflitto dalla guerra e dalle carestie, e all’India, dove sono in crescita episodi di stupro e di femminicidio. Un’attenzione particolare è riservata a problematiche attuali come la guerra civile in Siria e la coraggiosa protesta delle donne afghane contro le restrizioni imposte dal regime talebano.

Maraini Dacia

Dacia Maraini è nata a Fiesole (Firenze) e vive a Roma. È autrice di romanzi, racconti, opere teatrali, poesie e saggi, tradotti in oltre cinquanta Paesi. Ha vinto, tra gli altri, i premi Campiello, Strega, Napoli, Fregene, Brancati-Zafferana, Flaiano, Scanno, Cimitile, Hemingway e Viareggio alla carriera. Tra i suoi romanzi ricordiamo: La vacanza, L’età del malessere, Memorie di una ladra, Donna in guerra, Isolina, La lunga vita di Marianna Ucrìa (dal quale è stato tratto il film di Roberto Faenza Marianna Ucrìa), Bagheria, Voci, Un clandestino a bordo, Dolce per sé, Buio, La nave per Kobe, Colomba, Il treno dell’ultima notte, La bambina e il sognatore, Tre donne, Corpo felice, Trio. Nel 2021 è uscito il Meridiano di alcune sue opere più rappresentative. In edizione Marlin: Dentro le parole (2005), Dacia Maraini in cucina (2007), entrambi a cura di Gioconda Marinelli, Alfabeto quotidiano (2021) scritto con Gioconda Marinelli, Sguardo a Oriente (2022) e Sguardo al Nuovo Mondo (2023) entrambi curati da Michelangelo La Luna.

Immagine: Dacia Maraini

Un assaggio dall'introduzione dell'autrice

La forza nascosta che ci chiama altrove

Credo di avere avuto una prima idea dell’esotismo quando da bambina ho visto, in Giappone, l’acquerello di un allievo di mio padre che rappresentava gli scalini digradanti di un anfiteatro romano in una città fantasiosa, cosparsa di statue in pietra coperte da viluppi di edera e fiori selvatici. E io, che non avevo ricordi dell’Italia, essendo partita per Tokyo a poco più di un anno, sono stata subito spinta a fare mia quella visione di una città che pure mi era stata descritta tante volte dai miei genitori, ma con occhi diversi: una metropoli caotica, affollata, dominata dai preti e da una antica nobiltà terriera bigotta e senza scrupoli. Una città dai magnifici ricordi, che ospitava il Parlamento italiano di cui aveva fatto scempio il fascismo.
Questo era il pensiero dei miei. Ma io me la trovavo davanti molto più accattivante, la bella capitale lontana e sconosciuta, come un imperscrutabile luogo del desiderio, a metà fra un museo e un misterioso e bellissimo cimitero. Un luogo segnato dalle memorie di un impero maestoso che aveva dominato il mondo, che aveva prodotto filosofi e poeti e grandi architetti, che aveva inventato strategie di guerra e codici legali ancora in atto. Un luogo in cui il tempo era sospeso, e le memorie di fatti crudeli giacevano morte e rese inoffensive dal vento della storia, inghiottite da una specie di giungla vegetale fatta di riccioli contorti e spinosi.
Per i giapponesi quello era l’esotico: un’Italia astratta e mai esistita in cui contavano solo le rovine di una civiltà scomparsa. Esotico è quel «sentimento che tende a esaltare forme e usanze di Paesi lontani», come dice il vocabolario, una «predilezione per tutto ciò che è straniero».
Tornando in Italia nel dopoguerra ho scoperto che le mie realtà giapponesi più scontate e quotidiane rappresentavano per gli italiani qualcosa di affascinante, di sconosciuto ed esotico: il teatro Noh, la festa dei ciliegi, i giardini di sabbia e pietra, i grandi Budda di legno, le pagode e i templi verniciati di rosso e di nero che per me erano pane di tutti i giorni, diventavano improvvisamente stranezze su cui fantasticare.
Ho avuto la fortuna di provare cosa fosse il sentimento dell’esotico, imparando a considerare le leggi della deformazione dovuta alla lontananza: quel desiderio sognato che amplifica e abbellisce ciò che ci incuriosisce e ci attrae di una civiltà distante e sfuggente. Capivo che era l’innamoramento del diverso. Ma in che rapporto stava questo amore con l’opposto sentimento di sospetto e di odio per il dissimile? Non c’erano forse dei legami sotterranei che rendevano l’uno la faccia scura e l’altro la faccia chiara dello stesso sentire?
Ricordo la prima volta che sono capitata davanti a un quadro di Gauguin. Quegli alberi azzurrini, quelle palme rosa, quelle madonne dai piedi nudi e il seno fasciato da una veste di cotone dai colori sgargianti, mi sorprendevano e mi ammaliavano. Era l’esotismo europeo del XIX secolo. Un miraggio succoso e colorato che evocava isole lontane immaginate felici. Le stesse isole che si trovano nei libri di Conrad, nei romanzi di Stevenson che divoravo con fame insaziabile.
Certo l’esotismo è provocato da una seduzione subdola e prolungata. Qualcosa che evoca, attraverso un sogno insistito, un luogo che si immagina straordinario e felice. Un luogo che si carezza nella fantasia, con i sensi abbagliati, e un sottile godimento che tocca le viscere.
Solo leggendo Flaubert e studiando le sue lettere ho capito quanto la seduzione dell’altrove possa essere ingannevole e perversa. Flaubert detestava l’esotismo, lo considerava un moto dell’anima da disprezzare, un’emozione incolta, primitiva e infantile. Di cui però poi si ingozzava pure lui. Per pentirsene in un secondo tempo e attribuire i suoi «bassi gusti» alla eroina Madame Bovary. Flaubert disprezzava le fantasticherie esotiche di Emma, ma nel fondo del suo cuore ne era attratto...

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Il marlin, da cui la casa editrice prende il nome, è il pescespada che Hemingway amava pescare
al largo di Cuba e che gli ha ispirato lo splendido romanzo “Il vecchio e il mare”

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