Ernest Hemingway
HEMINGWAY: LO SCRITTORE SIMBOLO DEL NOVECENTO LETTERARIO AL CUI ROMANZO "IL VECCHIO E IL MARE" SI SONO ISPIRATI I FONDATORI DELLA CASA EDITRICEErnest Hemingway è lo scrittore simbolo del Novecento, quello che ha scelto di raccontare senza timore ciò che aveva vissuto in prima persona e che quindi conosceva molto bene, rompendo, per primo e più di tutti, con una certa tradizione stilistica ottocentesca e influenzando le successive generazioni di narratori. Per questi motivi, al suo esordio la casa editrice Marlin ha voluto ispirarsi alla sua figura e al suo genio creativo, scegliendo lo scrittore americano come nume tutelare, tanto da adottare a suo emblema il marlin, il pescespada che Hemingway amava pescare nelle acque del Golfo, al largo di Cuba.
Nato nel 1899 a Oak Park (Chicago), Ernest è appassionato di caccia e pesca e, guidato in tal senso dal padre, proprietario di una fattoria nei boschi del Michigan, fin da piccolo impara a praticare diversi sport, fra i quali la boxe: un'attrazione per le emozioni forti che non abbandonerà mai e che in un certo senso rappresenta il suo segno distintivo.
Nel 1926 lo scrittore dà alle stampe due libri importanti come "Torrenti di primavera" e "Fiesta", che riscuotono rilevante successo di pubblico e di critica. Nel 1928 porta a termine la stesura di "Addio alle armi", ambientato in Italia durante la prima Guerra Mondiale, che viene salutato con entusiasmo dalla critica e gratificato da un ampio successo commerciale.
Tra una fatica letteraria e l’altra si dedica alla caccia in Africa e alla pesca particolare di un tipo di pescespada chiamato Marlin al largo di Cuba.
Nel 1930 ha un incidente automobilistico e si frattura il braccio destro in più punti. È uno dei molti infortuni in cui incappa in questo periodo di viaggi e di avventure. Le esibizioni vitalistiche, di cui spesso si rende protagonista compiaciuto, il fisico muscoloso, il carattere da attaccabrighe, la predilezione per le grandi mangiate e le formidabili bevute lo rendono un personaggio unico della società letteraria internazionale.
È bello, duro, scontroso e, nonostante sia poco più che trentenne, è considerato un indiscusso maestro della narrativa mondiale.
Nel 1940 è la volta di "Per chi suona la campana", nel quale lo scrittore racconta, attraverso il protagonista del romanzo Robert Jordan, la propria esperienza nella guerra civile spagnola come corrispondente al fianco dei repubblicani.
Nel 1952 esce "Il vecchio e il mare", un romanzo breve che commuove milioni di lettori ed entusiasma la critica, raccontando la storia di un povero pescatore cubano che cattura un grosso Marlin e cerca di salvare la sua preda dall'assalto dei pescecani. Pubblicato in anteprima su un numero unico della rivista "Life", il romanzo vende cinque milioni di copie in 48 ore e vince il Premio Pulitzer.
Nel 1954 gli viene conferito il Premio Nobel per la letteratura, ma rinuncia ad andare a Stoccolma per riceverlo di persona, essendo assai provato dalle ferite riportate in un incidente aereo. Intervistato dalla stampa, dichiara di non meritare quel premio, ci sono altri scrittori, ben più meritevoli di lui: Carl Sandburg, Isak Dinesen e Bernard Berenson. Poi pensa al premio in denaro, e decide quindi di accettarlo. Ma di volare fino a Stoccolma non se ne parla. Il mito vivente, il coraggioso cacciatore, il corrispondente di guerra, l'amico dei toreri nonché pugile, si sente debole. È impegnato in una lotta, forse la più difficile della sua vita, e la posta in palio è alta, è in gioco la sua sopravvivenza. Disperazione, depressione e nostalgia. Anche in questo è molto simile al vecchio pescatore Santiago. Ma a differenza del pescatore, i suoi occhi non sono più "allegri e indomiti". Si sta arrendendo. Decide di chiamare John C. Cabot, all'epoca ambasciatore statunitense a Stoccolma. Gli chiede un favore, se può andare a ritirare il premio per lui e leggere il discorso che ha preparato. Un testo in cui emerge la visione che il vecchio scrittore ha della letteratura e di chi vive di quel mestiere.
"Scrivere - leggerà Cabot - è un mestiere difficile, da compiersi in solitudine, una ricerca di sé da compiersi al cospetto dell'eternità". "Quando uno scrittore - continua il testo - diventa famoso, la sua presenza è richiesta in ogni luogo, e spesso, proprio per questo, il suo lavoro si deteriora". Il consiglio, quindi, è uno solo: "La vita dello scrittore è, nel migliore dei casi, una vita solitaria. Non possedendo le doti per un discorso ed essendo privo di qualsiasi qualità oratoria e tecnica retorica, desidero ringraziare gli amministratori della generosità di Alfred Nobel per questo Premio. Nessuno scrittore, conoscendo quali grandi scrittori non abbiano ottenuto il Premio, può accettarlo, se non con umiltà. Non è necessario elencarli. Tutti i convenuti possono fare la loro personale lista in base alla loro conoscenza e coscienza. Sarebbe impossibile per me chiedere all'ambasciatore del mio paese di leggere un discorso nel quale uno scrittore parla di tutte le cose che albergano nel suo cuore. Quel che un uomo scrive può non essere immediatamente chiaro e per questo, qualche volta, può dirsi fortunato; ma col tempo si possono rivelare abbastanza chiare, e grazie a queste parole e al grado di alchimia che lo scrittore possiede, lui potrà resistere al tempo o venire dimenticato. La vita dello scrittore è, nel migliore dei casi, una vita solitaria. Le organizzazioni di scrittori alleviano la sua solitudine, ma dubito che riescano a migliorarne la scrittura. Più diventa conosciuto al pubblico, più perde la sua solitudine, e così, spesso, il suo lavoro ne risente, deteriorandosi. Lui lavora da solo, e se è uno scrittore abbastanza bravo deve essere in grado di affrontare l'eternità, o la sua mancanza, ogni giorno. Per un vero scrittore ogni libro dovrebbe rappresentare un nuovo inizio, dove cercare qualcosa di nuovo, che va oltre la semplice realizzazione. Deve cercare di realizzare qualcosa che non sia già stato fatto, o che gli altri hanno fallito nel tentativo di realizzare. E prima o poi, con grande fortuna, riuscirà nel suo intento. Come sarebbe semplice scrivere se fosse solo necessario riscrivere in altro modo ciò che è stato già ben scritto. Ed è proprio perché abbiamo avuto scrittori così grandi nel nostro passato che uno scrittore deve sforzarsi ad andare oltre, dove nessuno può aiutarlo. Ma per essere uno scrittore, ho parlato fin troppo. Uno scrittore deve scrivere quel che ha da dire, non deve parlarne. Ancora grazie".
In seguito, nonostante le difficoltà fisiche e psicologiche, ha ancora la forza di scrivere “L’estate pericolosa”, sulla rivalità tra i toreri Dominguin e Ordóñez, e “Festa mobile”, libro di ricordi sulla Parigi della giovinezza, che in un certo senso rappresenta il suo canto del cigno. Nonostante il successo e le cure degli amici e della moglie, Ernest Hemingway, il 2 luglio 1961, prende il suo fucile e si toglie la vita.