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DIETRO LA FICTION: INTERVISTA CON LO SCRITTORE VITTORIO SCHIRALDI

La storia di due giovani tossicodipendenti ispirata ad una vicenda reale che lo scrittore ha conosciuto da vicino
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"I giovani si credono magici". L'adolescenza e le ferite della crescita, sono messe a dura a prova dai meccanismi della droga. È in libreria e disponibile on line il romanzo del noto scrittore e sceneggiatore Vittorio Schiraldi Lascia fare al destino, pubblicato dalla Marlin, la casa editrice di Tommaso e Sante Avagliano (collana Il Portico, € 15,00 con promo sconto del 20% #EstateConUnLibroMarlin fino al 5 luglio 2020 solo sul sito www.marlineditore.it).


Schiraldi, da dove nasce Lascia fare al destino?

Questo romanzo mi ha coinvolto in modo particolare perché Simone, il giovane tossicodipendente, che viene da una agiata famiglia borghese e ha una tenera e disperata storia d’amore con Ilaria, figlia del protagonista, non è un personaggio inventato. Simone è stato come un figlio per me. Lo incontrai alcuni anni addietro. Avevo deciso di scrivere un romanzo per raccontare il percorso di uno dei tanti giovani che finiscono per drogarsi e di cui spesso non sappiamo quasi niente, se non quando improvvisamente la loro storia affiora e si conclude con poche righe in cronaca, quando vengono trovati con l’ago di una siringa piantato in vena.

Un punto di vista decisivo, nel romanzo, è quello del mondo familiare, sconvolto dalla tossicodipendenza…

Sì. Volevo pure raccontare, in una sorta di diario, con quale sofferenza tale dramma viene vissuto all’interno di una famiglia alterandone i ritmi, la serenità, gli interessi e gli scopi di vita. Per documentarmi, ho iniziato una serie di ricerche e colloqui, frequentando Centri di recupero per tossicodipendenti ma anche esperti, genitori e giovani quotidianamente in fila davanti a un Sert di Roma per procurarsi una dose di metadone. Fu lì che incontrai Simone e di lui mi colpì subito l’atteggiamento riservato e cortese che denunciava la buona educazione ricevuta.

Come è stato il primo approccio con lui?

Lo spinsi a parlare delle sue esperienze anche se appariva riluttante. La sua ritrosia però venne meno quando seppe che ero uno scrittore. Da quel momento cominciammo a frequentarci. Lui mi parlava dei suoi viaggi in Thailandia, inseguendo la droga pura al novanta per cento e, un giorno, dopo avere ascoltato il racconto delle sue bravate, quando con quelli della Curva sud, romanisti come lui, inseguiva la squadra del cuore in trasferta, devastando treni e bruciando carrozze, esaltati dalla droga, gli ho domandato come mai non avesse mai provato a mettere su carta quelle esperienze. Fu allora che, vincendo la sua naturale timidezza, Simone cominciò a farmi leggere alcune pagine del suo diario e poi mi confidò che il suo sogno, appunto, sarebbe stato quello di diventare uno scrittore”.

Che impressione ha ricavato dalla lettura?

Leggendo quei racconti mi resi conto che c‘era del talento in lui. Decisi quindi che avrei cercato di trasformare il suo sogno in un progetto di vita. Speravo così che, in tal modo, forse sarei riuscito, come del resto avvenne, a sottrarlo alle sue suggestioni autodistruttive e quindi a rinunciare alla droga. Insomma, lo convinsi a fare ciò che aveva sempre desiderato senza però trovare i necessari stimoli, ossia scrivere il romanzo della sua vita di randagio, rinunciando all’eroina per credere finalmente in sé stesso e guardare con fiducia al futuro. Così mi buttai in quella battaglia con la speranza di riuscire a vincerla.

Qual è stato il vostro rapporto?

Tra noi si sviluppò un rapporto come tra padre e figlio, un rapporto che divenne sempre più intenso e assiduo. Lui scriveva il suo romanzo con grande fatica ma io lo esortavo a continuare perché scrivere lo stava lentamente trasformando. Simone ha frequentato la mia famiglia per un paio d’anni, mentre andava avanti il suo romanzo, poi è arrivata la tragica e inaspettata scoperta dell’Hiv che l’ha schiantato, quando meno se l’aspettava, proprio quando era riuscito a scrivere l’ultima pagina del suo romanzo. Improvvisamente ha scoperto di avere i giorni contati, giorni sempre più disperati che, in parte, ho vissuto accanto a lui, in una stanzetta dell’ospedale Gemelli di Roma.

La morte di Simone ha cambiato il progetto di scrittura di Lascia fare il destino?

In realtà, la sua scomparsa fu un duro colpo anche per me e a quel punto pensai che non avesse più alcun senso scrivere il mio romanzo, ora che quello di Simone non avrebbe mai visto la luce. Sono passati alcuni anni e poi un giorno ho trovato alcuni dei suoi appunti, qualche lettera, qualche pagina del suo diario e, allora, mi sono fatto forza. Ho deciso che la sua storia andava comunque raccontata. È nato così, Lascia fare al destino.

 

 

Il marlin, da cui la casa editrice prende il nome, è il pescespada che Hemingway amava pescare
al largo di Cuba e che gli ha ispirato lo splendido romanzo “Il vecchio e il mare”

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