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Il romanzo "Duecento giorni di tempesta": intervista all'autrice Simona Moraci

Duecento giorni di tempesta scolastica, amorosa, esistenziale, tra violenza e possibile riscatto
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Duecento giorni di tempesta, nelle librerie e store on line dal 31 marzo, è il terzo romanzo di Simona Moraci, messinese, giornalista e insegnante, ed è pubblicato da Marlin editore (collana "Il portico", pagine 304, € 16,90), la casa editrice di Tommaso e Sante Avagliano.

Simona Moraci, come nasce questo suo terzo romanzo?
Questo libro deriva dalla mia esperienza maturata negli ultimi anni sulla “frontiera”, nelle scuole di quartieri a rischio. È come un universo a sé stante: tutti i sentimenti, le emozioni sono amplificati e occorre trovare un equilibrio “nuovo”. La mia passione per la scrittura e il mio amore per l’insegnamento mi hanno spinto a raccontare di rabbia e innocenza, di pianto e risate, di questi bambini straordinari e fuori da ogni schema. In particolare, l’affetto nei confronti dei ragazzi è stato uno stimolo potente. L’amore è l’unica via per uscire dal buio.

Come si è evoluta dentro di lei la voce interiore della protagonista, Sonia?
La voce di Sonia è quella del mio cuore. Il suo viaggio di donna in cerca di sé è anche il mio. L'ho ascoltata nelle fughe, nei silenzi, nei sussurri dei suoi fantasmi, nella ricerca dell'altro. In questo percorso di crescita che ho vissuto assieme a lei.
Stefano e Andrea sono due personaggi non meno importanti, in un triangolo sentimentale… Andrea e Stefano sono differenti, quanto indissolubilmente legati. Andrea ha un passato difficile ma un animo immenso. Stefano è come lo Scirocco: passa attraverso e non se ne cura. Fugge e ritorna. Sonia, in un contesto difficile che la lascia senza fiato, con ancora addosso le ferite del passato, trova questi due uomini pronti a aiutarla e ne rimane affascinata.


Educazione sentimentale ed emergenza scolastica in periferia: come si intrecciano i due temi?
Sono complementari. Questa scuola fuori da ogni schema è un luogo in cui ogni persona cerca attenzione. I bambini chiedono amore, nei banchi scagliati o nei sorrisi timidi, gli insegnanti cercano di stare loro accanto, come possono. I docenti sono in cerca di un ruolo ma anche di sé: credo che l’amore sia il legame e l'intreccio alla base del romanzo.

Che cosa significa per lei la scuola in un luogo periferico, da scrittrice e insegnante?
La scuola è una parte importante della mia vita, ovunque si trovi. È la mia forza: stare con i ragazzi è straordinario. Imparo da loro ogni giorno. Quando ho cominciato a insegnare nelle scuole a rischio è cambiata tutta la mia percezione della realtà: dopo lo smarrimento iniziale, ho compreso che una strada per arrivare al cuore dei ragazzi si trova sempre. Come insegnante la percorro ogni giorno. Come scrittrice desidero raccontarla.

Modelli nella scrittura?
Più che modelli, parlerei di suggestioni. Sono cresciuta, grazie a mia sorella, tra gli spettri di Emily Brontë, il fascino di Oscar Wilde e l'orgoglio di Jane Austen. Amo Dante, Leopardi e Pascoli e mi piace perdermi tra le maschere di Pirandello. Leggere è alla base di ogni scrittura.

Sonia ripercorre con dolore il proprio passato. Quanto è importante la scrittura per fare i conti con il buio e le zone d’ombra?
La scrittura è catartica. In questo senso, attraverso Sonia, anch’io ho affrontato i miei fantasmi, le paure, le ferite antiche. Ma come lei mi sono innamorata di Stefano, Andrea, della vita e ho affrontato le mie zone d’ombra. Per uscire dal buio, per emozionarmi, ancora, al tocco del sole e al sospiro del vento.

Questo libro è dedicato a sua figlia e ai suoi alunni: che cosa vorrebbe trasmettere alle nuove generazioni?
A mia figlia, ai miei studenti ho provato a raccontare un po’ di me, come donna, non solo come madre o insegnante. Ho cercato di mostrare loro come vedo il mondo che, rimane, un posto meraviglioso malgrado tutte le difficoltà quotidiane. Vorrei che si prendessero cura di loro e dei loro sogni: forse il futuro rimane una terra straniera, ma ognuno di noi può scegliere di essere felice.

Il marlin, da cui la casa editrice prende il nome, è il pescespada che Hemingway amava pescare
al largo di Cuba e che gli ha ispirato lo splendido romanzo “Il vecchio e il mare”

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