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Intervista a Viviana Carpifave, traduttrice dello scrittore francese Anatole France

Ritorna in libreria uno dei romanzi più belli sul periodo del Terrore successivo alla rivoluzione francese: "Gli dei hanno sete"
Libro: Gli dei hanno sete
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L’ha emozionata tradurre Gli di hanno sete, opera di un autore a cui è stato assegnato il Premio Nobel per la letteratura?
Leggere un libro è di per sé emozionante, sia esso un giallo, una storia d’amore, un diario di viaggio e così via. Ma tradurre un libro è qualcosa di più perché non soltanto coinvolge la sfera emotiva e stimola la fantasia, ma richiede un elevato senso di responsabilità. Il traduttore deve garantire la corretta trasmissione del messaggio letterario, deve capire il testo e restituirlo in un’altra lingua con estrema cura della scelta lessicale. Una traduzione letterale che non tenga conto del contesto di riferimento risulta inadeguata, paradossalmente infedele. Di conseguenza, tradurre un libro significa penetrare a fondo il pensiero dell’autore, comprendere perché abbia scelto quella determinata parola o quel particolare aggettivo piuttosto che un sinonimo con una diversa sfumatura di significato. In questo senso, tradurre un libro è una continua scoperta e in quanto tale è affascinante e appassionante.

A chi non conoscesse Anatole France, come descriverebbe le peculiarità del suo stile?
Lo definirei classico, laddove classico indica uno stile che ha raggiunto l’equilibrio tra contenuto e forma e che per questo è sempre meravigliosamente attuale. Classica è la scultura greca, classica è la musica di Bach e né l’una né l’altra hanno subito danni dalle mode successive. Contemporaneo dei naturalisti e dei parnassiani, Anatole France criticava gli uni per la prosa disadorna e gli altri per l’attenzione eccessiva all’estetica a discapito dell’argomento. Per lui la letteratura aveva una funzione educatrice e pertanto, senza cadere in aridi moralismi ma sollecitando lo spirito critico del lettore, si è battuto per una riforma dell’etica fondata sulla ragione e il sentimento.

Come si spiega che Anatole France, pur avendo ricevuto il Premio Nobel per la letteratura, sia un autore così trascurato?
Innanzitutto perché Anatole France era ateo e nel 1920 la chiesa mise all’indice le sue opere. In secondo luogo, quando manifestò idee socialiste condannando la repressione zarista e plaudendo alla Rivoluzione russa del 1905, la borghesia gli voltò le spalle. Infine perché il surrealismo, scaturito dagli studi sull’inconscio di Freud che hanno dominato il Novecento, lo combatté aspramente accusandolo di “passatismo e parassitismo”. Pertanto, l’uomo che in vita aveva avuto tanto successo fu descritto da chi gli succedette egemone nel panorama culturale come un autore mediocre, “senza inquietudine”, compiacente, conciliante e perfino melenso. È anche vero che fu apprezzato da Marcel Proust il quale, nella Recherche, si ispira a lui per il personaggio dello scrittore Bergotte, ma sta di fatto che Anatole France, scrittore assai prolifico, dopo essere divenuto accademico di Francia, aver ottenuto l’ennesimo trionfo con Gli dei hanno sete, aver vinto il Premio Nobel per la letteratura, essere stato insignito della Legion d’Onore e aver ricevuto funerali di Stato, è caduto nel dimenticatoio quasi sotto il peso di una damnatio memoriae.

Il 24 febbraio segnerà un anno dall’attacco di Putin nei confronti dell’Ucraina. Non trova particolarmente attuale un romanzo come Gli dei hanno sete per ricordare come l’esercizio del potere possa in molti casi condurre all’abuso e generare violenza?
Certo! La storia dell’umanità ci offre molti esempi di abuso di potere e ci dimostra che, in quanto esaltante, il potere può facilmente prendere la mano a chi lo esercita e indurre a deliri di onnipotenza ingiustificati e illeciti. La Rivoluzione francese, che sulla base di condivisibili principi repubblicani aveva decretato la distruzione del tirannico ancien régime, degenerò successivamente nella fase cosiddetta del Terrore che dette luogo ai massacri di settembre, inneggiò alla “santa ghigliottina” e, con la famosa legge del 22 pratile dell'anno II (10 giugno 1794), rese leciti i processi sommari che privavano gli accusati del diritto di difesa e del ricorso in appello. Non a caso il titolo del romanzo, Gli dei hanno sete, evocando le antiche divinità a cui venivano offerti sacrifici cruenti, indica appunto gli uomini al potere assetati di sangue.

Il protagonista del romanzo, Évariste Gamelin, è artefice e vittima degli esiti della Rivoluzione. Quali sono le figure di contorno?
La personalità complessa e contraddittoria di Évariste Gamelin emerge proprio grazie agli altri personaggi del romanzo: la madre vedova e indigente; la sorella ribelle e anticonformista; la fidanzata Élodie che “aveva paura di lui, ma lo adorava”; il cittadino Blaise, padre di Élodie e mercante di stampe, repubblicano e patriota, ma realista e concreto; Louise Rochemaure, donna di mondo che ha abbracciato le istanze rivoluzionarie ma simpatizza per i potenti e continua a mantenere rapporti con aristocratici e antirivoluzionari; Rose Thévenin, attrice; Athénaïs, prostituta; Philippe Desmahis, artista donnaiolo; padre Longuemare, barnabita, che non si è voluto piegare alla Costituzione civile del clero e, primo fra tutti, l’ex nobile Maurice Brotteaux. Ateo, perché convintamente epicureo, acuto, ironico e lungimirante, Brotteaux conosce bene il giovane Gamelin e quando viene a sapere che è stato nominato membro del Tribunale rivoluzionario, commenta dicendo: “È un ragazzo virtuoso… sarà tremendo”.

 

Il marlin, da cui la casa editrice prende il nome, è il pescespada che Hemingway amava pescare
al largo di Cuba e che gli ha ispirato lo splendido romanzo “Il vecchio e il mare”

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