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"Il posto degli assenti": intervista allo scrittore Francesco Puccio

Cosa accadrebbe se il posto che è sempre stato il nostro, accanto a una persona che abbiamo amato, finisse con l'essere occupato da qualcun altro?
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Cosa accadrebbe se il posto che è sempre stato il nostro, accanto a una persona che abbiamo amato, finisse con l’essere occupato da qualcun altro? Questo interrogativo è centrale nel romanzo Il posto degli assenti di Francesco Puccio (collana "Il portico", pagine 144, € 15,00), pubblicato da Marlin editore, la casa editrice di Tommaso e Sante Avagliano, e nelle librerie e negli store on line dal 15 aprile. Il libro è in concorso al Premio Costadamalfilibri - Sezione Narrativa e Saggistica 2021.

Francesco Puccio, come nasce il romanzo?
Questo è un romanzo che parte da una riflessione sul tema dell'assenza che mi porto dentro da tempo. Accade, talvolta, che certi temi bussino alla nostra porta e senza aspettare che li si lasci entrare, si mettono comodi, in attesa che ad essi ci si rivolga. Occupano lo spazio intorno, abitano i luoghi, attraversano le memorie, e iniziano a diventare parte del tuo vissuto. Mi è capitato così con l'assenza, prima in certe mie scritture teatrali dedicate ai personaggi del mito classico, e poi in questo libro, nato durante un viaggio a Cefalonia, in una di quelle estati azzurre che solo il Mediterraneo conosce, e poi mai più andato via, finché non l'ho messo per iscritto.

Se dovesse sintetizzare la storia in poche righe?
È una storia d’amore e di amicizia, ma racconta anche la ricerca instancabile di una risposta alla domanda che fa da bussola a tutto il racconto: cosa accadrebbe se il posto che è sempre stato il nostro, accanto a qualcuno che abbiamo amato, fosse occupato da qualcun altro? Un romanzo su quelli che non ci sono più, ma anche su quelli che restano.

Quale significato ha per lei l’esergo dedicato alle riflessioni di Natalia Ginzburg?
È Il passo che ho scelto è dedicato a un autore che ho sempre molto amato, Cesare Pavese, al quale la Ginzburg, altra scrittrice che fa da bussola al mare narrativo in cui mi piace navigare, dedica un commosso e dolente ricordo ne “Le piccole virtù”; a lui e alla sua città, quella Torino in cui scelse di uccidersi in un’afosa e diafana mattina di fine agosto del 1950. Pavese è una di quelle voci che appartengono al mio vissuto e che, ogni tanto, provo a interrogare in cerca di risposte. O forse di nuove domande.

Chi è Teo, il protagonista?
Teo è uno scrittore di gialli, un genere che mi appassiona come lettore ma che non pratico come autore. Ma è soprattutto un personaggio irrisolto che in questo suo viaggio sull’isola – Cefalonia nel mio romanzo – va alla ricerca di una sorta di una propria identità riconoscibile. Di qui, l’importanza dell’amicizia che intreccia con Petra, questo moderno proprietario di taverna e cantastorie che, in realtà, mi piace immaginare come un aedo fuori dal tempo.

Il senso del mistero custodito nel ventre del mare greco e il fascino della narrazione appaiono due elementi centrali del romanzo.
La Grecia, con i suoi miti e suoi racconti, con i suoi spazi reali e immaginari, è per me un luogo dell’anima, come il Sud della mia terra, al quale appartengo e al quale, anche come autore di teatro, ho sempre dedicato molti dei miei viaggi letterari e performativi. E quel mare che ha custodito storie leggendarie e avventurose, ospitato innumerevoli viaggi di ricerca e di esplorazione, ma purtroppo anche di disperazione e di fuga da zone di guerra e di povertà, immagino possa ancora oggi rappresentare uno spazio da percorrere nel nostro nostos quotidiano.

Modelli e punti di riferimento nella scrittura?
Domanda complicata, le confesso. Perché ho sempre letto tanto e per me la lettura non è mai stata una nota a margine, ma un momento essenziale nella scansione del tempo. E dunque ho attraversato generi ed epoche, come accade per chi si nutre di musica o arte. I libri accompagnano le stagioni dell’esistenza e cambiano anche in base a come siamo noi in quel momento della nostra vita. E come accade per le nostre vite, in fondo siamo la somma delle nostre esperienze. Allo stesso modo, potrei dirle che sono anche la somma delle mie letture. Ma se proprio dovessi farle qualche nome, al di là di alcuni classici del teatro come Euripide e Shakespeare, le direi il Petrarca del “Canzoniere” e il Manzoni dei “Promessi Sposi”, e per arrivare a tempi più recenti, Francis Scott Fitzgerald, Yasunari Kawabata, Cesare Pavese, Javier Marías, Paul Auster.

Quanto la sua formazione universitaria di studioso e operatore nel campo del teatro incide sulla sua ispirazione?
Direi di sì, senza dubbio per quanto riguarda il mio rapporto con il mito, con la Grecia, ma anche per la cura che cerco di adoperare nella costruzione di un personaggio. Tuttavia, cerco di tenere separati i piani, per evitare che linguaggi diversi si sovrappongano e si confondano.

Che cos’è per lei l’assenza?
Il vuoto della memoria.

E la memoria?
Nuotare, lasciando che i ricordi tornino a galla, e in dissolvenza i volti e le voci e gli odori di quelli che sono stati, e ancora sono, il senso della nostra vita.

Il marlin, da cui la casa editrice prende il nome, è il pescespada che Hemingway amava pescare
al largo di Cuba e che gli ha ispirato lo splendido romanzo “Il vecchio e il mare”

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